Titolo goethiano attribuito da Gabriele D'Annunzio a una raccolta di poesie,
edite nel 1892, che s'ispirano a Roma e a una donna. Successivamente comprese
nel volume
Femmine e Muse (1929) dell'edizione nazionale delle opere di
D'Annunzio, queste
Elegie romane sono 25 poesie in distici barbari,
costituenti forse una delle opere più convincenti dello scrittore
abruzzese, sia per la finissima introspezione psicologica sia per la salda e
robusta struttura. I momenti migliori sono quelli in cui l'idealizzazione della
beltà amata è espressa quasi in forma di madrigale, o dove la
pietà, la durezza e il pianto s'esprimono con uno struggimento, che
è autentica musica, in cui si stemperano le visioni delle fontane, delle
chiese e delle ville romane.